domenica 6 dicembre 2009

Almudena Grandes "Il ragazzo che apriva la fila" Guanda



Di Almudena Grandes, scrittrice madrilena, avevo letto “Cuore di ghiaccio”. Un romanzone di 1.000 pagine, intenso ed avvincente. Un affresco vivissimo della nazione spagnola dalla guerra civile ai giorni nostri. Vado alla ricerca dei suoi libri precedenti, scelgo “Il ragazzo che apriva la fila”, edizioni Guanda. 4 racconti che hanno per protagonisti altrettanti adolescenti.
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Ritrovo la scrittura piena e densa di questa incredibile scrittrice, le parole che ti si attaccano addosso, la narrazione fluida e piana, che ogni tanto si impenna, trasportando il lettore verso sentieri impetuosi, scavando nelle emozioni e nei sentimenti con grande maestria.
In uno dei racconti, la protagonista è una giovane ragazza, nipote del più grande sarto per toreri, che si ritrova, alla morte del nonno, a lavorare come commessa, in un negozio di abbigliamento di alta moda. In questa storia c'è un passaggio straordinario: la descrizione di un gruppo di clienti ricchissime, tutte donne e tutte di una stessa famiglia, pervase tutte dalla stessa vanità e dagli stessi capricci. Tranne una. Che nessuno vede, nessuno considera. La sua inesistenza è una condanna e una scelta “...lei restava lì, sola, immobile, indifferente, come un camaleonte, un granchio, un'iguana, a confondersi con lo sfondo, ed era una di loro, ne ero certa...”. Solo Paloma riesce a vederla, perché il nonno maestro le ha insegnato la differenza tra vedere e guardare. Paloma semplicemente la guarda, dandole esistenza, ricevendo in cambio la possibilità di una nuova consapevolezza, della necessità impellente di sottrarsi a quell'esistenza vana e sempre uguale a sé stessa, per poter tornare a guardare con gli occhi del nonno, a sognare i colori che sfidano i tori e la morte. In un gioco delle parti in cui tutti accettano che la finzione sia l'unica immagine possibile della realtà, le due ragazze inesistenti sfidano la vita, con i loro silenzi, la loro ostentata diversità, i loro libri, le loro corride.
Ed è una costante di tutte le storie di questo libro, quella di dipingere ritratti di giovani uomini o donne, tutti portatori di una diversità. Le loro sono storie normali ma allo stesso tempo rappresentano lo strappo, l'eccedenza, l'anomalia. A una famiglia, a una convenzione, a una normalità. Nel primo racconto un adolescente, a cui è da poco morto il fratello, sfoga il suo dolore in una lunga conversazione con un dio misconosciuto e crudele. In un altro il protagonista recupera il posto in fila di fronte ai cari nonni, che era del cugino maggiore, trasformatosi da resistente antifranchista a avvocato di grido, e si oppone alla vendita della casa del nonno, luogo di memorie non solo familiari.
E nell'ultimo, un goffo ragazzino, cicciotello e occhialuto, coltiva una dolce amicizia con una prostituta, scambiandosi merende e confidenze.
Ognuno di loro, a suo modo, aprirà un varco, uno spazio, uno strappo. Lasciandovi scorgere dentro o fluire fuori quello che palpita al di là di questa nostra immobile, finta realtà.
Tiziana

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